Negli anni della crisi l’export ha salvato conti e posti di lavoro nel nostro Belpaese. Superiamo i tedeschi per export di un molteplice e differenziato numero di prodotti, spesso di nicchia e poco conosciuti. Però, la nostra parte nel commercio mondiale in questi anni non è aumentata, rispetto ai nostri competitors. Esportiamo di più. Nel 2016, i settori più dinamici sono stati la farmaceutica (+6,8%), i mezzi di trasporto (+5,4%) e l’agroalimentare (+4 per cento).
Ma le esportazioni di manufatti hanno perso terreno non soltanto negli anni duemila, ma anche nel periodo 2010-16, passando da una quota del 3,5% nel 2006 al 2,9% dieci anni dopo. Da un lato, si sono affacciati nuovi attori: la Cina, il Messico, altri Paesi emergenti.
Dall’altro, la crisi 2008–2013, durante la quale, nonostante una crescita complessiva delle esportazioni italiane (+ 5,4%), si è registrata una consistente contrazione nei comparti di punta del nostro export.
Le cause
Diversificare paga. Avere una specializzazione produttiva in un numero elevato di prodotti, assicura un atterraggio morbido in caso di crisi. Ma può non bastare, se siamo meno presenti nei settori più dinamici, quelli che vantano un andamento di domanda internazionale più sostenuto (anche quando questa rallenta) e nei settori più difficilmente “scalabili” dalla concorrenza internazionale “a basso costo”.
«Da questi dati – spiega Andrea Goldstein, chief economist di Nomisma – emerge come non stiamo ancora sfruttando il nostro potenziale. A partire dalla penetrazione commerciale, che in Cina, in India, in quasi tutti i Paesi emergenti resta molto bassa rispetto ai nostri competitors europei (Germania e Francia soprattutto). Le aziende vanno, si affidano a partners, aprono qualche filiale. Ma, in generale, tranne le poche grandi che abbiamo, non investono nella penetrazione commerciale di Paesi lontani e complessi».
Il “Made in Italy”, nei grandi Paesi, sbiadisce. Poi, prosegue Goldstein, «c’è sempre il problema strutturale delle dimensioni. Le aziende piccole vanno anche più di prima nei mercati lontani, ma non hanno la forza di sostenere investimenti importanti, magari con managers locali».
Esportatori in crescita lenta
Nel 2016 è cresciuto il numero di aziende che esportano, a quasi 216 mila. Una crescita costante ma molto più lenta rispetto al dispiegamento di forze e impegno messo in campo dal ministero per lo Sviluppo economico e dall’Ice con “Il Piano Straordinario per il Made in Italy” e all’obiettivo di arrivare, in pochi anni, a 20mila esportatori in più sui 70mila potenziali che l’Italia avrebbe ma che ancora non si sono attivati in tal senso.